ScopriAMO l’Uganda: Roberto e la Bahati Bike

Ho visitato l’Uganda l’anno scorso ed è stato allora che ho avuto il piacere di conoscere Roberto che, oltre a farmi da guida e raccontarmi le sue avventure, mi ha portato a mangiare il mio primo Rolex.

Che cos’è il Rolex? Userò un estratto del mio diario per cercare di spiegarvelo:

Il ragazzo al banchetto sul marciapiede prepara il rolex susseguendo una serie di gesti che ti rapiscono, sembra di osservare una danza: prende due uova, le rompe e le versa in un bicchierino; prende un pomodoro e ne tagliuzza metà dentro al bicchiere con le uova; aggiunge un pizzico di sale e dei pezzettini di peperone; versa dell’olio su una piastra concava poggiata su un fornelletto a gas; ci rovescia il miscuglio e con il coltello lo allarga piano, piano; sempre col coltello, usando una mano sola, avvolge l’omelette che si è formata e la rovescia; poi prende un chapati e lo appoggia sopra l’omelette; lo gira per qualche secondo come se fosse un DJ e poi lo toglie dal fuoco, lo arrotola, lo infila in un sacchettino di plastica e ce lo porge ancora fumante. Questo rolex sì che è degno della sua fama! Così semplice eppure così squisito, così economico (meno di un euro) eppure super nutriente.”

( link al video How to make a Rolex )

Ma prima di parlarvi di Roberto e della sua storia, mi piacerebbe portarvi lì con me, in Uganda, sempre attraverso alcuni estratti del mio diario. In particolare, vorrei farvi scoprire il mercato di Owino, a Kampala, uno dei mercati più grandi dell’Est Africa:

“Il caos totale, strade affollate di passanti, mercanti, macchine, moto. Deve aver piovuto recentemente perché sui lati della strada è presente molto fango. Veniamo incanalati nel flusso di persone ed è difficile, se non impossibile, fermarsi per capire dove andare. La frenesia è simile a quella di una metropoli europea, la gente cammina velocemente e se qualcuno si trova sulla sua traiettoria gli sbatte contro oppure urla “Strada, strada!”, questo lo fanno soprattutto i mercanti che passano trasportando sulla testa pesanti sacchi, trascinando carretti o portano mazzi di galline vive reggendole per le zampe. Prima di entrare nel cuore del mercato decidiamo di fare un giretto per i negozietti del “centro commerciale” che è composto da vari edifici, uno accanto all’altro, con vari corridoi e scale, sia interne che esterne, che collegano i vari piani. È come stare al mercato con l’unica differenza che i venditori espongono in una struttura di cemento. La merce esposta straborda dai negozietti, i corridoi sono strettissimi e affollatissimi. Anche qui se provi a fermarti un attimo per guardare qualcosa o per capire se gli altri sono ancora dietro di te, la gente inizia a sbatterti addosso o a scansarti con la mano per passare. Proviamo a salire, ai piani più alti la situazione è più tranquilla, i corridoi sono più ampli e c’è meno caos. Notiamo subito però che la merce esposta è per lo più di stile occidentale, ci sono pochi vestiti in kitenge ma una marea di magliette calcistiche o con stampe particolari. I ragazzi impazziscono, inizia subito la ricerca di canotte NBA e di camicie dalle stoffe kitsch. 

L’Owino Market a differenza del mercato di Kimironko (a Kigali, in Rwanda) è molto più caotico e mal organizzato. Le bancarelle vendono qualsiasi cosa, da frutta e verdura alla carne e al pesce, dagli utensili per la cucina a quelli per la camera da letto, ma manca la parte artigianale tipica africana e le stoffe/abiti in kitenge. Cerchiamo una via d’uscita e continuiamo l’esplorazione della zona alla ricerca di un posticino dove fermarci per riposare un po’. Ovunque andiamo il caos è onnipresente, le strade sono comunque sempre piene di bancarelle e anche i vecchi palazzi ospitano negozi, è una città mercato. In fondo alla via notiamo una piazza enorme sterrata occupata da una moltitudine impressionante di minibus. Decidiamo di salire dalle scale esterne di uno dei palazzoni per avere una vista dall’alto del quartiere: dall’alto la città sembra un enorme formicaio colorato, gente che cammina ovunque, macchine, moto e minibus che sembrano accalcarsi gli uni sugli altri; dalla strada si alza un polverone di terra e di fumi di scarico che si arrampicano su per i palazzoni decadenti, anch’essi popolati da una miriade di persone e tappezzati da cartelloni pubblicitari.

Sentiamo Roberto che ci dà appuntamento al centro commerciale al di là della stazione dei minibus, ci ributtiamo in mezzo al caos e lo raggiungiamo. Mentre sta decidendo dove portarci, inizia a diluviare “Ragazzi vedete quel palazzo di fronte? Andiamo lì, al terzo piano c’è un ristorantino economico così potete provare il piatto nazionale: il Rolex!”. Partiamo tutti correndo: “Mi raccomando non dividiamoci altrimenti senza telefoni non ci ritroviamo più!”.

Detto fatto, ci lanciamo nell’attraversamento della stazione dei minibus, il caos di prima, con la pioggia, è aumentato. Basta un attimo, i bus iniziano a muoversi piano, piano e ci chiudono la strada. È come essere in un labirinto vivente: ti giri a destra e un bus ti blocca la strada, vedi uno spiraglio davanti ma come fai un passo un altro bus ti blocca, ovviamente in questo delirio quando riusciamo a raggiungere l’edificio ci accorgiamo di essere rimasti solo io e Claudio. La pioggia, nel frattempo, si è fatta ancora più insistente, i negozianti cercano di coprire la merce con dei teloni di fortuna e la gente si accalca sotto gli edifici per cercare riparo. “Se la caveranno, sono con Roby, andiamo al ristorante che ci ha indicato e vedrai che li troveremo lì” mi dice Claudio.

Ed è così che ho conosciuto Roberto e la sua storia, mangiando il mio primo (di una lunga serie) Rolex in un locale nel centro di Kampala.

Roberto ha percorso più di 15.000 km in sella a una bici tandem: la Bahti Bike, che ha trasportato (o, come dice lui, accompedalato) più di 12.000 persone tra Italia e Africa. La Bahati Bike, che in origine si chiamava Va’lentina, è una bici artigianale che può trasportare fino a sei persone contemporaneamente, la sua creazione e la sua manutenzione è frutto del lavoro di un team internazionale di volontari. 

Le prime pedalate sono iniziate nel 2012, in Sicilia, ma Roberto e la sua bici hanno partecipato anche alla Marcia della Pace Perugia-Assisi e hanno accompedalatto persone in giro per tutta l’Italia. Dopo questa prima fase nazionale, il progetto prevedeva un viaggio itiner-pedalante (con partenza da Messina, in Sicilia, per arrivare fino a Messina in Sud Africa) volto a promuovere la pace attraverso il movimento e l’equilibrio per l’unità e la salute.

Roberto è stato costretto a rimodulare l’itinerario originale a causa di problemi logistici e di sicurezza ed è volato direttamente in Tanzania dove, con il contributo essenziale della sua bici, ha promosso e partecipato attivamente a diversi progetti (dall’installazione di pannelli solari, a progetti agricoli, scolastici, etc.). 

Per prepararmi al viaggio mi sono messo anche a studiare alcuni rudimenti di arabo e dell’Islam, cosa che si è rivelata molto utile -in particolare in Tanzania- per potermi integrare e ricevere il supporto della comunità locale”.

Dopo la Tanzania Roberto e la Bahati Bike si sono spostati in Uganda dove, a causa di problemi burocratici, rimangono “bloccati” per tre anni. Nasce così, in un villaggio a circa 15 km da Kampala, la Bahati Home, che è stato – ed è tutt’ora- un rifugio per Roberto, la bici e il team di piloti che è nato in maniera spontanea durante la permanenza in Uganda. La Bahati Bike ha preso parte a diverse marce e manifestazioni e, grazie al supporto di diverse associazioni tra cui Anymore Onlus, il progetto ha potuto continuare a perseguire i suoi obiettivi promuovendo attività quali: arrampicata sportiva, slackline, yoga, ma anche attività di agricoltura e cucina (produzione di pane e conserve), accountability, oltre che di carpenteria e meccanica per la bici.  Nel progetto sono stati coinvolti circa 40 bambini e la Bahati Bike è stata guidata da più di 50 piloti, 8 di questi hanno vissuto insieme a Roberto in una piccola casa nella periferia della capitale.

La Bahati Bike è stata un mezzo essenziale per rompere il ghiaccio e conoscersi, una cosa fondamentale quando la piloti è saper trasmettere fiducia al passeggero. Bahati, significa fortuna/destino, il nome è quindi un invito a fidarsi: il destino è con noi, fidati e sali! 

Al momento Roberto è tornato in Italia ma la Bahati Bike e il team ugandese non si sono fermati.

Roberto, quale consiglio daresti a chi vuole andare in Uganda?

Vai alla cieca, con fiducia e spirito di adattamento, a braccia aperte e senza aspettative.

Tre cose da non fare mai in Uganda?

Non annusare il cibo (viene vista come una maleducazione), non andare in bici nel mercato di Owino e non chiedere quando c’è bisogno di chiedere (questo vale in generale, quando si ha bisogno non bisogna aver timore di chiedere aiuto).

Intervista a cura di Veronica Giordani

 

 

 

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