ScopriAMO il Gambia: Intervista a Pierre, operatore VIS

Pierre è stato in Mali per sei mesi, da giugno a dicembre del 2018, dove si è occupato di un progetto realizzato nell’ambito della campagna “Stop Tratta” di VIS e Missioni Don Bosco, promosso e sostenuta dalla Conferenza Episcopale Italiana con la campagna “Liberi di partire, liberi di restare”.

La logica dell’iniziativa è quella di offrire una formazione ai giovani allo scopo di facilitare il loro inserimento nel mondo del lavoro, affinché possano prendere liberamente la scelta di partire o di restare. Il progetto vuole donare una possibilità alle persone, che molto spesso non scelgono di migrare ma sono obbligate a causa delle condizioni in cui vivono.

Pierre, quali difficoltà ha trovato in Mali?

La difficoltà maggiore del Mali è il fatto che non è un paese sicuro: a Nord ci sono movimenti jihadisti e recentemente c’è stato un colpo di stato. Per fortuna la parte Sud del Paese, a Bamako dove lavoravo io, è più tranquilla.

E a livello lavorativo?

I maliani in generale sono persone molto affabili se li si sa prendere. Inoltre, ho avuto la fortuna di lavorare con persone che ci tenevano molto al lavoro che stavamo facendo: tutte le attività e tutta reportistica venivano ben svolte, questo ha dato una marcia in più sul lavoro e ha aiutato ad appianare molte difficoltà.

Vista la situazione di insicurezza del Paese, immagino che non sia un luogo che consiglierebbe per una prima esperienza sul campo…

Diciamo che, come ogni paese, anche il Mali ha delle zone sicure e delle zone meno sicure, come contesto non è sicuramente però adatto ad una prima esperienza nel mondo della cooperazione. Prima di venire in Mali consiglio di aver avuto un po’ di esperienza di campo ed esperienza con le procedure di sicurezza.

Quale consiglio darebbe a una persona che si ritrova a operare in Mali per la prima volta?

Di partire senza pregiudizi. Ad esempio: il Mali è un paese la quasi totalità degli abitanti sono musulmani però, quello che non viene mai detto, è che il Mali è uno stato laico. Una cosa che ho apprezzato molto è che, soprattutto nella parte sud, non ci sono tensioni religiose: un maliano non vede come un nemico una persona che appartiene ad una religione diversa dalla sua. Quindi consiglio di partire senza avere il pregiudizio classico occidentale “musulmano = terrorista”, altrimenti i rapporti rischiano di diventare difficili. È un paese in cui, nonostante le problematiche, è possibile incontrare molte persone di valore.

Qual è stato il suo primo impatto con il Mali?

Io sono di origine haitiana, la cui maggioranza della popolazione è di origine africana, quindi forse per me l’impatto è stato più soft, a molte cose ci ero abituato. Sicuramente dal mio punto di vista personale è stato molto interessante vedere “le mie origini”, riscoprire le tradizioni che ad Haiti si sono un po’ perse (l’Africa dell’ovest è stato il principale punto di origine del traffico di schiavi destinato ai Caraibi).

Se lei potesse creare un mondo ideale, cosa porterebbe dal Mali e cosa dall’Italia?

Dal Mali porterei la facilità che hanno di relazionarsi fra di loro: nel senso che, rispetto all’Italia, se incontri una persona per strada questa inizia a chiacchierare, magari anche troppo [ride, n.d.r.]. Non è così difficile entrare in relazione con le persone come a volte lo può essere in Italia.

Sicuramente dall’Italia porterei il modo di lavorare. So che può sembrare strano – l’efficienza italiana sembra che non ci sia mai quando si parla nei giornali – ma quando poi vai negli altri paesi ti accorgi che invece c’è, che l’Italia comunque è un grande paese nonostante i suoi problemi.

Se potesse cosa cambierebbe del Mali e cosa dell’Italia?

In Mali il problema maggiore è livello politico, nel senso che molte tensioni scaturiscono da un utilizzo del potere poco al servizio della gente.

Per quanto riguarda l’Italia, quello che cambierei sono i pregiudizi.

C’è un collegamento tra l’insicurezza del Burkina Faso e l’instabilità del Mali?

La sicurezza in Mali piano, piano si è deteriorata soprattutto al Nord, ma poi l’instabilità si è spostata anche al centro, che confina con il Burkina Faso. Piano, piano questi gruppi (che non si capisce bene se siano jihadisti, criminali o tutti e due) hanno iniziato ad allargare le loro operazioni fino a sconfinare in Burkina. Quindi l’insicurezza in Burkina si, arriva dal Mali.

Qual è la cosa più “strana” del Mali?

La cosa più strana, in generale un po’ in tutta l’Africa dell’Ovest, è che non si può dare la mano sinistra, è vista come un’offesa.

Quale idea aveva del Mali prima di partire?

Solitamente prima di partire per un paese cerco di informarmi. Quello che mi ha colpito, soprattutto nella parte sud del Mali, è la convivenza tra religioni. Il Mali è al 99% musulmano eppure non ci sono tensioni religiose con le minoranze, come invece ci si potrebbe aspettare.

Riesce a descrivermi il Mali con un’immagine, un odore e un suono?

Come immagine ricordo quella delle bellissime campagne. Tra una città e l’altra ci sono queste bellissime strade immerse nella campagna, caratterizzate dalla terra rossiccia tipica dell’Africa, con vari tipi di alberi e arbusti da savana.

Li mangiano tanto riso e quindi mi viene in mente l’odore dei piatti di riso.

Come suono mi viene in mente il canto del muezzin.

Un ricordo particolare che conserva del Mali?

La visita a Touba, un paesino sperduto nella campagna molto particolare in quanto nella zona non c’è elettricità quindi la sera è tutto buio e le strade sono tutte sterrate. Ciò che mi ha colpito molto è che lì la gente, soprattutto i bambini che vanno ad accompagnare le greggi, siccome sono isolati e non hanno neanche internet, non conosco cosa c’è fuori dal loro villaggio. Ma appena una persona vede cosa c’è fuori – elettricità, acqua corrente, etc. – tende a scappare.

Intervista a cura di Veronica Giordani

 

 

 

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