Testimonianze dalla Repubblica Democratica del Congo: il racconto di John Mpaliza

Il racconto di John Mpaliza

Attivista per i diritti umani, nato nella Repubblica Democratica del Congo nel 1969 – anno in cui l’uomo mise piede sulla luna – John Mpaliza si definisce un cittadino del mondo in quanto, sebbene sia felice di essere cittadino italiano, si sente comunque congolese e africano ed è fiero delle sue radici.

Nato da una famiglia modesta a Bukavu all’est del paese, a 11 anni viene accolto a Kinshasa a casa della sorella maggiore la quale, essendo sposata con un uomo benestante, poteva permettergli un miglior tenore di vita e soprattutto la possibilità di frequentare una delle scuole migliori dell’Africa centrale.

Durante la nostra chiacchierata, John ci ha raccontato che durante la sua infanzia e la sua adolescenza, la RD Congo era un Paese meraviglioso, bellissimo. Un paradiso!

Conclusi gli studi superiori in un liceo scientifico, John inizia gli studi universitari presso l’Università di Kinshasa, Facoltà di Ingegneria politecnica. In quello stesso anno -il 1989- in Europa cadeva il Muro di Berlino. L’ondata di cambiamento arrivò anche in RD Congo dove la gente, in particolare gli studenti, iniziarono a rendersi conto di vivere in un regime dittatoriale.

All’epoca esisteva infatti un unico partito: l’MPR (Movimento Popolare per la Rivoluzione), partito del Presidente Mobutu.

Proprio all’Università, John inizia il suo percorso politico grazie alle nuove conoscenze strette in quegli anni, alcune della quali facevano parte di un partito clandestino: l’UDPS (Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale) dell’oppositore Etienne Tshisekedi. Senza pensarci troppo decide di prendere parte a questa avventura clandestina, ignaro del fatto che proprio questa sarà la sua condanna: John e i suoi compagni prendono parte a numerose manifestazioni che, soffocate dalla polizia, causano l’arresto e la morte di molti di loro.

Dopo l’ennesimo arresto, nel 1991 la sua famiglia si rende conto di quanto John- dissidente – sia effettivamente in pericolo di vita e lo aiuta a lasciare il Paese.  Inizia così un lungo viaggio, in aereo, che porterà a Orano, in Algeria, dove raggiunge un amico, un compagno del liceo, ma prima transita a Lagos (Nigeria), a Dakar (Senegal) e Bamako (Mali).

Lì si iscrive nuovamente all’università, ricominciando da zero, senza la minima possibilità di vedersi riconosciuto gli esami conseguiti nei 3 anni che ha frequentato presso l’Università di Kinshasa.

A fine dell’anno accademico, decide di andare a visitare quell’Europa che tanto aveva studiato sui libri e mai aveva potuto vedere, ma con l’idea di ritornare in Algeria per continuare i suoi studi.

Il suo viaggio in Europa coincide però con lo scoppio della Guerra Civile in Algeria, cosa che lo spinge a rimanere a Roma dove fa richiesta di Asilo politico. I sogni e le aspettative di John vengono ostacolati dalla burocrazia in quanto, impossibilitato a prendere contatti con la sua Madre Patria, non può né vedersi riconosciuti i suoi titoli di studio né, tantomeno, conseguirne altri in Italia. La necessità primaria era quella di trovare un modo per potersi mantenere, decide quindi di andare a Napoli dove -grazie a degli amici- trova lavoro come bracciante agricolo nelle campagne di pomodoro pugliesi. Le condizioni di lavoro erano così disumane tanto da paragonarle alla schiavitù, ma John in Italia non aveva altra scelta. Piano piano si abituerà, ma non tanto, a questa vita e per 3 estati andrà a raccogliere pomodori in Puglia e arance a Rosarno nell’inverno 1995.

Ogni giorno, dall’estate del 1993 all’estate del 1996, John si sveglia e va a cercare lavoro senza sapere con chi avrebbe avuto a che fare e in che tipo di mansione sarebbe stato impiegato.

Nel 1997, grazie ad una sanatoria, John ha la possibilità di regolarizzarsi e rinunciare allo status di asilo politico che non gli permetteva di fare nulla. Ottenuti i documenti decide di spostarsi in Emilia-Romagna, prima nel bolognese e dopo a Reggio Emilia. Dopo aver svolto svariati lavori, nel 1999 riesce ad iscriversi all’Università di Parma e conseguire la laurea breve in Ingegneria informatica e ha subito avuto l’opportunità di fare un tirocinio presso il Centro di elaborazioni dati del Comune di Reggio Emilia a seguito del quale viene assunto come programmatore, mansione che svolgerà per 12 anni, fino al 30 maggio 2014 quando lascia tutto per dedicarsi a tempo pieno alla causa del Congo.

Ma, in Congo cosa è successo nel mentre?

A seguito delle proteste studentesche, a cui aveva preso parte anche John, il presidente Mobutu si era indebolito e aveva aperto il Paese al multipartitismo. Inoltre, è in questo periodo che lo stesso Mobutu scopre di avere un tumore e si reca spesso all’estero per sottoporsi alle necessarie cure mediche. Nel 1994, a seguito del genocidio ruandese, un’ondata di profughi Hutu, circa 2 milioni, si riversa nel Kivu, regione dell’est del Congo confinante col Ruanda.  Nel 1996 il FPR -Fronte Patriottico Ruandese invaderà l’allora Zaire. Scoppia così la Prima Guerra del Congo. In testa all’avanzata viene messo uno zairese, Laurent-Desiré Kabila, che nel 1997 si autoproclama Presidente del Paese costringendo Mobutu alla fuga. Alla fine degli anni ’90, il mondo si apre alle nuove tecnologie e la RD Congo diventa un luogo strategico in quanto ricca di materie prime, quali il coltan, fondamentali per la realizzazione di computer e telefoni cellulari. La zona del Kivu, particolarmente ricca di materie prime, viene completamente occupata dal Ruanda. Nel 1998, L.D Kabila, rendendosi conto dell’errore commesso, intima i militari ruandesi di lasciare il Paese ed è allora che inizia la Seconda Guerra del Congo (1998-2003), detta anche Guerra mondiale africana, che porta all’assassinio di L.D Kabila nel 2001. Sarà sostituito da Joseph Kabila -presentato come suo figlio- che governerà il Paese col pugno di ferro fino al 1999, quando è costretto a fuggire a causa della pressione del popolo e della società civile.  Attualmente il presidente del Congo è Felix Tshisekedi, figlio dell’oppositore storico Etienne Tshisekedi.

Ma torniamo a John…

Partito dalla RD Congo nel 1991, John vi fa ritorno per la prima volta nel 2009 e si trova di fronte un Paese distrutto. Decide quindi, una volta tornato in Italia, di voler fare qualcosa e nel 2010 inizia ad organizzare marce, nazionali ed internazionali, per sensibilizzare l’opinione pubblica e chiedere alle istituzioni di intervenire in aiuto del popolo congolese. Nello stesso anno viene pubblicato il Rapporto Mapping sulla situazione in RD Congo che denunciava 6 milioni di vittime – dal 1993 al 2003 – individuando 617 massacri classificati come crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini di genocidio e raccomandando la creazione di un Tribunale Penale Internazionale ad hoc per giudicarli. Da allora John non si è mai fermato, ha organizzato diverse marce in Italia e in Europa andando nelle scuole, nelle Chiese e arrivando anche ad incontrare per due volte il Papa. Ma non solo, John è stato in Parlamento, presso la Commissione Diritti Umani in Senato, presso la Commissione Esteri alla Camera, ma è arrivato anche, più volte, al Parlamento Europeo. Inoltre, durante le marce e le conferenze ha promosso la Campagna di Tracciabilità dei Minerali volta a ricostruire la filiera delle materie prime utilizzate per la produzione dei nostri smartphone affinché ci si possa assicurare che non provengano da zone dove vengono sfruttate donne e bambini per l’estrazione dei minerali. Il primo gennaio del 2021 è prevista l’entrata in vigore del Regolamento Europeo sui “Minerali di Conflitto”, normativa che prevede una serie di obblighi per le imprese importatrici per promuovere pratiche responsabili di approvvigionamento dei minerali provenienti da zone ad alto rischio o interessate da conflitti armati (come la RD Congo): poca roba ma sicuramente un piccolo passo avanti. Purtroppo, la trasparenza necessaria per la tracciabilità non potrà mai essere del tutto garantita fino a quando non ci sarà un governo legittimo, disposto a lottare contro la corruzione e lavorare per la stabilizzazione del Paese. Ad oggi la maggior parte dei minerali vengono esportati in maniera illegale mentre, quelli esportati legalmente sono sottoposti a tangenti che non portano introiti allo Stato produttore. Attualmente la società civile congolese è molto attiva su questi temi, soprattutto i giovani, un esempio di movimento attivista è “LA LUCHA” (Lutte Pour Le Changement – lotta per il cambiamento) e ciò da speranza che le cose possono cambiare.

Ma John, non si occupa solo di difendere i diritti congolesi ma anche di promuovere l’idea di un’Africa Unita che parli con una sola voce, che abbia un suo mercato comune (come l’Europa). Solo ciò permetterà agli africani di sfuggire alla colonizzazione, mai finita.

John è cittadino italiano e in quanto tale si occupa anche dei diritti di tutti, a tal fine l’anno scorso ha organizzato la “Marcia Restiamo Umani” partita da Trento e conclusasi– dopo quattro mesi – in Piazza San Pietro, con la consegna di una lettera e della bandiera della Pace a Papa Francesco. “Basta odio e paura” era il motto di questa marcia che spronava la gente a più dialogo, più amore e più accoglienza.

John, se chiudi gli occhi e pensi al Congo cosa vedi?

Vedo un verde, che più verde non si può. Penso a un ritmo lento della vita, lento ma giusto. Quando penso al Congo vedo una terra ricca e fertile. Sento l’odore del cibo, penso a un pranzetto in famiglia a base di mfumbwa che è una foglia tagliata a pezzettini, essiccata e bollita, cucinata con olio, burro di arachidi e pesce affumicato, e servito con il fufu (polenta a base di manioca); una prelibatezza che si dovrebbe mangiare sempre con le mani.

Il Congo è un paradiso, se il paradiso esistesse in Terra si troverebbe in Congo, o perlomeno in quelle parti. Quel paradiso purtroppo è stato trasformato in un inferno, ma sono certo che tornerà ad essere bellissimo come nei miei ricordi da bambino, e ad essere una locomotiva per tutta l’Africa.

Quale consiglio daresti ad una persona che vuole andare ad operare in RD Congo?

Innanzitutto, i cooperanti che vogliono andare in Congo hanno bisogno di una formazione e devono sentire qualcosa dentro, avere una “Mission”. Non è una scelta che va fatta alla leggera, solo perché è un lavoro che ti viene offerto. Bisogna partire con un’organizzazione seria, con veri obiettivi e che lavori con persone locali coinvolgendole e formandole al fine di costruire insieme alla comunità e in base alle loro necessità, lavorando in partnership con organizzazione locali per far sì che quel “cordone ombelicale” non sia eterno. Cooperare significa collaborare e per collaborare bisogna essere aperti ad apprendere anche dalle comunità locali. Mettersi a disposizione è la chiave, non sentirsi superiori.

A cura di: Veronica Giordani, Dario Lupica Spagnolo e Michaela Arcieri

 

 

 

Torna alla Home Page