L’Africa è stata per troppo tempo considerata come una terra senza storia, ciò che si studia dell’Africa è relativo all’esperienza degli europei all’interno dei suoi confini. È una terra statica, primitiva, selvaggia, un luogo senza storia. La filosofia hegeliana definisce i suoi abitanti come primitivi. Pensiero diffusissimo in tutto l’Occidente, che si consolida totalmente in un razzismo pseudoscientifico quando le teorie di Darwin vengono applicate alla diversità umana.

L’Africa fu considerata a lungo priva di storia anche per la mancanza di fonti scritte. L’arrivo degli europei è visto come l’arrivo della dinamicità all’interno della storia africana. Gli africani sono considerati niente più che soggetti passivi della loro storia. Il periodo coloniale va dal 1885 al 1940. L’antropologia diviene la disciplina chiave, lo strumento dei governi coloniali per conoscere “our natives”. Conoscere per controllare. Le popolazioni vengono classificate: alcune come intelligenti, altre come stupide, altre come semplici contadini e allevatori. Nasce il concetto di tribù: è tribù quell’intermezzo tra singolo e nazione, concetto che viene coniato in assenza di un sistema politico significante. Gli africani iniziano a riconoscersi in questa visione coloniale, identificandosi nei termini in cui l’occidente li classificava. Nel 1908 l’autore Mudimbe pubblica “L’invenzione dell’Africa”, in cui descrive come attraverso la biblioteca coloniale si sia costruita una produzione antropologica dell’identità africana. Produzione antropologica guidata dall’ideale di una missione civilizzatrice e totalmente intrisa di razzismo pseudoscientifico. 

Esemplificativo il questionario distribuito nelle scuole elementari in Togo in una scuola colonialista, pronta a far crescere africani fedeli e devoti all’Europa. Venivano chieste le città e le capitali europee, il nome dei monti e dei fiumi tedeschi e la traccia del tema da sviluppare era “cosa ci hanno portato di buono gli europei”.  Il Discorso sul Colonialismo di Aime Cesaire del 1955 rappresenta una delle più importanti critiche agli orrori delle colonizzazioni europee in Africa. Secondo l’autore il processo coloniale determina la decivilizzazione del colonizzatore. Inquadra la colonizzazione africana come il germoglio del nazismo e della violenza del XX secolo, la brutalità è cominciata sul suolo africano. Negli anni ‘60 si esprime l’esigenza di africanizzare e decolonizzare la storia dell’Africa.

Emergono numerosi centri di studi africanisti in Europa e negli USA. Il 1960 è detto l’anno dell’Africa, moltissime colonie raggiungono l’indipendenza. Si arriverà all’indipendenza di ogni colonia solo nel 1994. Nascono quindi nuovi stati nazione e cambia l’approccio verso la storia. Questi stati sono prodotti del colonialismo, i loro confini retti corrispondono ai passati confini coloniali. Si afferma l’esigenza politica di darsi una storia antecedente e che vada oltre il colonialismo. Nascono i dipartimenti di storia nelle università africane, si diffondono riviste specializzate come il “Journal of African History” e i “Cahiers d’études africaines”. L’antropologia viene bandita dalle università africane, vista come strumento del colonialismo. Il colonialismo è solo un episodio nel corso della storia, non deve essere visto come il suo inizio, ma come una pagina, una pagina molto oscura.

La pubblicazione di volumi come il “Cambridge History of Africa” e “UNESCO general history of Africa” segna un passaggio importante, poiché finalmente agli africani viene riconosciuto un ruolo attivo nella loro storia. Gli storici vogliono dare massima importanza al periodo precoloniale, mettere in luce la vera storia dell’Africa. L’impresa non è affatto semplice, emerge immediatamente il problema delle fonti storiche. L’archeologia è uno strumento di ricerca prezioso, così come lo è la linguistica storica. Le fonti scritte sono o fonti europee dei colonizzatori o documenti in arabo. Non è nella scrittura, la civiltà africana è basata sull’oralità, è lì che vanno cercate le fonti.

Negli anni ‘70 le speranze della prima ondata di indipendenze vengono bruscamente deluse da nuove potenti crisi economiche, diversi paesi erano giunti alla libertà per poi ritrovarsi impossibilitati anche solo a poter pensare di competere nello scenario economico mondiale. Il focus della ricerca storica ritorna sulle conseguenze del colonialismo, mettendo in luce tutte le colpe delle potenze europee. Nel 1972 Walter Rodney pubblica “How Europe Underdeveloped Africa”, scritto di fondamentale importanza che mostra come a livello matematico e sociale uno sviluppo di pochi implichi sempre un sottosviluppo di tanti all’interno della società capitalistica.

Nonostante l’indipendenza di molti paesi, l’egemonia occidentale era ancora totale sul piano economico. La storia e l’antropologia continueranno fino agli ‘90 ad affrontare il tema dell’esperienza coloniale attraverso differenti analisi. Il passaggio al XXI secolo e la globalizzazione del mondo hanno imposto alla storia dell’Africa di ripensarsi completamente. “Africa is not a country”, è un continente. Parlare di Africa è oltremodo generico. L’Africa ha una superficie di più di 30 milioni di kmq, superiore a quella di USA, Europa e Cina sommate insieme. È bene dunque fare riferimento alle sue differenti realtà nazionali e regionali. La storia dell’Africa deve essere inserita nella storia globale, in un approccio interculturale comparativo. Si è dimostrato che l’Africa ha una storia. Ora è tempo di dimostrare che ha un posto importante nel mondo.

 

L’Africa non ha veramente bisogno di aiuto, deve prima di tutto essere conosciuta e rispettata”,  Aminata Traorè, ex ministro della cultura del Mali

Articolo di: Francesco Scannavini

 

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