ScopriAMO la TanzaniaStoria, Lingua e Cultura

Contesto storico

In Tanzania sono stati ritrovati alcuni dei più antichi reperti archeologici relativi all’evoluzione dell’uomo. Si ritiene che circa 10.000 anni fa la Tanzania fosse popolata da comunità di cacciatori-raccoglitori, forse di ceppo linguistico khoisan. Circa 2000 anni fa nuove migrazioni portarono in Tanzania, dall’Africa Occidentale, gruppi bantu, che a loro volta assorbirono le popolazioni preesistenti introducendo nuove tecnologie (in particolare la lavorazione del ferro) e una diversa organizzazione sociale e politica. Già dai primi secoli del primo millennio arabi e persiani si insediarono in Tanzania costruendo numerose città e dando inizio ad un’epoca di prosperità e benessere che viene indicata con il nome di epoca Shirazi. L’attività principale era il commercio di avorio. La città di Kilwa rappresenta l’apoteosi di questa prosperità, un’eccellenza urbana unica in tutta l’Africa antica. Il viaggiatore berbero Ibn Battuta, che aveva esplorato praticamente l’intero mondo allora conosciuto, arrivò a Kilwa nei primi anni del XIV secolo e scrisse di essersi ritrovato in una delle città più belle e ricche del mondo. La Tanzania sarà per tutta la sua storia palcoscenico di importanti rivolte e riforme che coinvolgeranno l’Africa intera. Il caso storico della Tanzania rappresenta uno dei tentativi più forti di opposizione all’autorità coloniale, nella sua storia si trovano importanti momenti come la rivolta Maji-Maji, ma anche tremende pagine scritte con il sangue, come il genocidio degli Herero.

Lingua

Lo swahili è la lingua ufficiale della Tanzania; ma anche l’inglese è ampiamente diffuso (lingua che venne introdotta in epoca coloniale). Inoltre sono numerose le lingue native parlate dai vari gruppi etnici presenti sul territorio. Queste ultime sono principalmente di origine bantu (Bemba, Safwa, Digo, Hehe, Makonde, Nyamwezi, Yao e Luguru) o nilotica (Maasai, Datooga, Ngasa, Ogiek, Kisankasa e Pare) e, tra tutte (126 ca.), solo la metà sono ancora largamente in uso; mentre altre stanno svanendo del tutto. La maggior parte della popolazione parla la propria lingua materna e un’altra, principalmente si tratta del Kiswahili

Tra le altre lingue etniche minoritarie, troviamo Iraqw, Gorowa, arabo, Burunge e le lingue di Khoisan come Hadza e Sandawe. Queste ultime due sono dei dialetti usati principalmente dalle comunità di cacciatori-raccoglitori. Infine in Tanzania sono parlate anche lingue indoeuropee, come Hindustani, portoghese, francese e gujarati.

Lo swahili è una lingua bantu che ha avuto origine dalle interazioni tra i commercianti arabi e i gruppi etnici bantu nativi delle coste dell’Africa orientale. Non solo è la lingua ufficiale della Tanzania ma è anche molto diffusa nei paesi limitrofi. Si conta che per ca. 20 milioni di persone lo swahili costituisca la lingua madre. 

All’origine veniva scritto in arabo e, solo in un secondo momento, quando i missionari cristiani introdussero il sistema di scrittura latina (come nelle traduzione della Bibbia), ha adottato il sistema latino. Il linguaggio viene oggi impiegato in ogni sfera della vita: musica, educazione, politica, affari legali, tecnologia, media e produzione cinematografica.

Piccolo dizionario per iniziare a conoscere lo swahili

ITALIANO SWAHILI
CIAO JAMBO
AMICO RAFIKI
COME STAI? HABARI GANI? (letteralmente “che novità?”)
TUTTO BENE NZURI SANA / POA SANA
GRAZIE (MILLE) ASANTE (SANA)
COME TI CHIAMI? GINA LAKO NI NANI?
MI CHIAMO GINA LANGU NI…
PER FAVORE TAFADHALI
BENVENUTO KARIBU (KARIBUNI al plurale)
ARRIVEDERCI TUTAONANA
BUONGIORNO SIKU NJEMA
BUONANOTTE USIKU MWEMA / LALA SALAMA (“dormi in pace”)
NON C’È PROBLEMA HAKUNA MATATA
TI AMO NAKUPENDA

Datoga e Masai

I Datoga sono un popolo quasi sconosciuto a coloro che si recano in Tanzania. Si tratta di pastori e fabbri semi-nomadi che praticano l’agricoltura di sussistenza. Varie vicissitudini hanno spinto questo popolo a vivere in una zona molto contenuta del Paese, vicino al Lago Eyasi. I Datoga discendono dalle popolazioni, appartenenti al ceppo nilotico, che dall’Etiopia e dal sud del Sudan si sono insediate in Tanzania oltre 3000 anni fa. La loro vita quotidiana ruota attorno all’allevamento, loro fonte primaria di sostentamento; anche se nei secoli hanno introdotto la pratica della coltivazione, soprattutto di mais e miglio. Per far pascolare i propri animali, questo popolo si sposta molto nell’arco dell’anno, arrivando a percorrere fino a 55 km al giorno. 

Vicino alla zona dove si sono stanziati, vive un’altra popolazione, gli Hazdabe, con cui i Datoga intrecciano scambi commerciali: essendo abili fabbri, i Datoga scambiano punte di frecce e altri oggetti in cambio di miele e pelli di animali prodotti degli Hazdabe. Una differenza che contraddistingue i Datoga dai vicini Hazdabe è la loro reputazione di feroci guerrieri; i giovani, per poter passare all’età adulta, devono dimostrare di essere abili guerrieri e devono uccidere o un nemico o un animale pericoloso, come ad esempio un bufalo.

I Datoga considerano nemici tutti gli esseri umani che non appartengono alla loro etnia.

Proprio per la loro indole guerriera, la maggior parte dei tanzaniani li conosce con il nome di “Mangati”, una parola che in lingua Masai significa “nemico”.

I Datoga parlano una lingua nilotica meridionale e solo una piccolissima parte conosce il Kiswahili (il 5% ca.); mentre il tipico abbigliamento consiste in coperte rosse utilizzate come vestiti e mantelle, queste ultime per proteggersi dalle fredde temperature della savana. Le mantelle poi possono essere decorate con perline e altre decorazioni in pelle. Usano molto tinte e tessuti che richiamano i colori della terra cui sono molto legati. Le donne sposate indossano un particolare tipo di gonna, realizzata con sottili strisce di cuoio. 

Questa etnia pratica la stregoneria e sono facilmente riconoscibili per la pratica della scarnificazione, usata per decorare e tatuare il proprio corpo. Sul viso, questa pratica crea una sorta di mascherina circolare attorno agli occhi che ha il compito di identificare immediatamente l’appartenenza a una determinata famiglia, e più in generale, l’appartenenza all’etnia dei Datoga.

I Masai (o Maasai) sono un popolo nilotico che vive sugli altopiani intorno al confine fra Kenya e Tanzania. Considerati spesso nomadi o semi-nomadi, sono in realtà tradizionalmente allevatori transumanti, e oggi spesso addirittura stanziali. 

I masai parlano il “maa”, da cui il nome dell’etnia che è da loro pronunciato maasai. La lingua appartiene al gruppo delle lingue nilo-sahariane. Oggi sono divisi in dodici clan.
I Masai sono più famosi e facilmente riconoscibili per il loro abito tradizionale, lo “Shuka” un drappo dai colori sgargianti, con una netta predominanza del rosso. Questo è il colore simbolo della cultura del popolo Masai, il quale ritiene che il colore rosso possa tenere lontano i leoni. 

Molto conosciuti sono anche i diversi monili con perline e fili di ferro creati dai Masai: gli uomini sono soliti portare cavigliere e polsiere (a volte indossano anche cinture e collane); mentre le donne ne indossano svariati, tra cui decine di braccialetti, collane, … tutti realizzati con perline colorate e disegni che simboleggiano il clan di appartenenza e lo status sociale. Questo abbigliamento però è stato adottato nei secoli; mentre in passato i Masai erano soliti vestirsi con abiti ricavati dalle pelli, tinte con colori vegetali e i gioielli venivano ricavati con semi e pietre facilmente trovabili in natura. E’ stato con l’arrivo dei colonizzatori che questo popolo ha iniziato a cambiare le proprie abitudini: sostituendo le pelli di vitello o di pecora con teli di lana o cotone.

Lo stile di abbigliamento di un Masai cambia in base all’età e alla posizione sociale; e a cambiare sono anche i colori: i giovani vestono di nero per i mesi successivi al rito di passaggio della circoncisione; le donne anziane prediligono il rosso che si ottiene tingendo la stoffa con un particolare pigmento naturale come l’ocra. Ogni colore, quindi, ha un significato preciso: blu, simbolo del cielo che fornisce pioggia fondamentale per gli animali; bianco, simbolo di purezza del latte, fonte di energia; verde che richiama la terra, fornitrice di cibo e nutrimento per gli animali; giallo, simbolo del sole che sostiene la vita; arancio per l’ospitalità, l’amicizia e la generosità dei Masai; e rosso, rappresenta la vita, ma anche la protezione, il coraggio, la forza e l’unità di questo popolo. 

 

Cucina

La cucina della Tanzania si caratterizza per la sua semplicità, per l’ampio uso di spezie, quali cardamomo e cumino, e per i pochi ingredienti. Tra questi, i principali sono ndizi (le banane verdi), mchicha (una verdura che somiglia ai nostri spinaci), arachidi e anacardi, riso, fagioli, farine di mais e manioca, latte di cocco, carne di manzo, patate e sorgo.

I piatti tipici del Paese sono l’ugali, una sorta di polenta di mais bianco (si può usare anche la farina di manioca, miglio o sorgo); il pilau (piatto della tradizione indiana come il chapati), una portata di riso basmati speziato con zenzero, cannella, cumino, cardamomo, chiodi di garofano, latte di cocco e accompagnato da verdure e carne di manzo o pollo; il Kuku choma e il Nyama choma, rispettivamente il barbeque di pollo e di manzo, servito con verdure, cotte o crude, o patatine fritte (chiamate cipsi); il matoke, platani bolliti; le Samaki Wa Kusonga, polpette di pesce speziate; il Mkamba Wa Tangawizi, granchio allo zenzero (piatto della tradizione araba) servito con riso bianco; i Kamba wa Nazi, gamberetti in salsa di cocco, accompagnati da peperoni, erbe aromatiche e zenzero; il beef stew, stufato di manzo servito con l’ugali; il cabbage curry, cavolo al curry; la coconut bean soup, zuppa di fagioli al cocco; il coconut cabbage, un contorno di cavolo cotto nel latte di cocco; la kachumbari, insalata di cavolo; e il pilipili holo, stufato di peperoni.

Tra le bevande più diffuse troviamo la birra Safari Lager, prodotta in loco, e il konyagi, un liquore locale simile al rum bianco. Ottimi sono poi i vari succhi di frutta tropicale realizzati anche con il tamarindo o mango e il té speziato (chai).

Ricetta del Samaki Wa Kusonga

Ingredienti per 4 persone:

  • 500 g di halibut (ippoglosso) bollito
  • 1 cucchiaio di aceto
  • 4 cucchiai di pangrattato
  • sale q.b.
  • 2 uova
  • 1 pizzico di semi di cumino
  • qualche spicchio di limone/lime 
  • pepe q.b.
  • 1 pizzico di zafferano
  • ½ peperoncino
  • olio per friggere q.b.

Procedimento:

  1. Prendete l’halibut bollito e mettetelo in una ciotola, unite tutti gli altri ingredienti ad esclusione del pane grattugiato e del limone o lime e mescolateli con le mani fino ad ottenere un impasto omogeneo.
  2. Formate con il composto ottenuto delle piccole polpette, passatele nel pangrattato e mettetele a friggere in una padella contenente abbondante olio bollente.
  3. Scolatele le Samaki Wa Kusonga e, dopo averle stese su un foglio di carta assorbente da cucina per eliminare l’olio in eccesso, servitele calde con una spruzzata di lime.

Consiglio: Le Samaki Wa Kusonga risultano ottime se accompagnata da un’insalata fresca di stagione. Inoltre se siete interessati a provare altre ricette della Tanzania, al seguente link ne troverete di gustosissime. https://www.buonissimo.it/ricettario/stato/198_Tanzania/

Festival

  • Festival del Wanyambo: è una delle migliori opportunità per conoscere la cultura locale della Tanzania all’inizio di gennaio. L’evento si svolge nella zona settentrionale di Dar es Salaam, conosciuta come Makumbusho, con tanta musica tradizionale, danza, costumi e cibo.
  • Sfida del Kilimanjaro (la vetta più alta dell’Africa): un triathlon che prevede tre estenuanti eventi a febbraio per scoprire il “KiliMan”. Gli eventi includono un’escursione sul monte Kilimanjaro (non giudicata), seguita da una gita in mountain bike lungo la grande circonferenza, e infine la maratona del Kilimanjaro.Maratona del Kilimanjaro: si tratta di un evento separato dalla Kiliman Adventure Challenge. E’ una corsa su strada sotto le spoglie della montagna solitaria più alta del mondo. C’è anche una mezza maratona e corse divertenti per coinvolgere tutti. Gli eventi si svolgono alla fine di febbraio, nel periodo più adatto a svolgere tali attività, anche per la bellezza del paesaggio.
  • Giorno dell’unificazione: giorno importante per il Paese è stato il 26 aprile 1964, quando le isole di Zanzibar si unirono al Tanganica nel 1963 per dare vita alla Repubblica del Tanganica e Zanzibar, più tardi conosciuta come Repubblica della Tanzania. In questa giornata la bandiera viene sventolata e nelle principali città vi sono numerose sfilate in abiti tradizionali.
  • Mzalendo Halisi Music Festival: è un festival musicale di due giorni nel mese di maggio. L’evento si svolge a Kigitonyama, nel nord-ovest di Dar es Salaam. Il festival propone musica tradizionale tanzaniana di artisti locali insieme a mostre d’arte e culturali.
  • Fiera dei viaggi e del turismo di Karibu: ha luogo ad Arusha nel mese di maggio o giugno. Durante l’evento è possibile acquistare numerosi articoli tanzaniani esposti, come pietre preziose, mobili, attrezzatura da safari, vino.
  • Festival dei Paesi Dhow: prende vita nel mese di luglio, le prime due settimane; e si tratta di un evento musicale e cinematografico. All’interno del festival si svolge il Zanzibar International Film Festival, il principale evento artistico dell’Africa orientale, della durata di una settimana, durante la quale è possibile assistere a numerose proiezioni di pellicole locali in tutto il Paese.
  • Festival di Mwaka Kogwa: dura quattro giorni a luglio/agosto. Questo evento rappresenta un must per i turisti che assistono alla “lotta” tra gli uomini del villaggio che si colpiscono con i gambi di banano per risolvere i litigi dell’anno precedente; mentre le donne, vestite in abiti tradizionali, cantano e ballano. Infine, una capanna fatta di paglia viene incendiata per dare inizio alla festa.
  • Eid al-Fitr: è la festa con la quale si pone fine al Ramadan. Si svolge in agosto e il luogo migliore cui assistere è Makunduchi, dove viene celebrata in grande stile con sfarzo, balli e cene.
  • Festival delle arti di Bagamoyo: città costiera, tra Dar es Salaam e Zanzibar, dove ogni anno viene ospitato l’evento, che propone musica e danza tradizionale e contemporanea. Il tutto ha una durata di una settimana, nel mese di settembre. Inoltre, durante il festival è possibile visitare mostre; partecipare a laboratori e assistere a spettacoli acrobatici.
  • Migrazione degli gnu del Serengeti: si tratta di un evento unico del suo genere, quando gli gnu si spostano, passando per il Serengeti (una regione di trentamila km2  costituita da prateria, savana e boschi) alla ricerca di acqua e un luogo in cui pascolare. Questo splendido spettacolo avviene tra dicembre e febbraio.

Abbigliamento, musica e arte

Le donne sono solite indossare il kanga (o khanga), che in lingua swahili significa “gallina faraona” in riferimento ai colori sgargianti di alcune specie africane di numididi (la più conosciuta è per l’appunto la “faraona comune”). Originariamente il colore dei tessuti veniva stampato attraverso timbri di legno incisi e immersi nell’inchiostro; il prodotto finale veniva poi tagliato e venduto in sei pezzi dalla forma quadrata. Le prime versioni prevedevano l’utilizzo di due soli colori; mentre quelle moderne sono multicolore e vengono vendute in due pezzi identici, da tagliare e combinare a piacere. Il kanga, come il kitenge (un rettangolo di cotone, stampato a cera, il cui motivo principale è scuro su uno sfondo più chiaro. A differenza del kanga, si tratta di un tessuto più spesso con una bordatura solo sul lato lungo), è un rettangolo di cotone stampato. Il tradizionale disegno presente sul kanga è diviso in due parti: il bordo (pindo, ovvero “cuciture”), diviso in margine esterno (di colore nero) e una striscia interna; e il centro (mji, tradotto letteralmente “città”). All’interno di quest’ultimo compare spesso una frase, “ujumbe”, o una “jina” (il “nome” del kanga), un proverbio o una frase di buon auspicio. Il mji può essere costituito da fantasie geometriche, da figure animali o da altri disegni stilizzati. Le scritte all’interno invece, per renderle più visibili, sono solitamente tutte in maiuscolo. I kanga, come i kitenge, vengono indossati in coppia: un pezzo viene utilizzato come gonna, mentre l’altro viene avvolto intorno al busto (la coppia prende il nome di “doti”). Il completo da due pezzi viene indossato sia dalle donne che dagli uomini. I kanga possono anche essere utilizzati come bandane o per fasciare i neonati. Inoltre, il ruolo del jina è molto importante: spesso vengono utilizzati come strumento di propaganda. Infine anche i colori e i diversi motivi hanno un significato ben preciso: il colore di un kanga indossato da una donna può indicare l’intenzione della stessa di sposarsi o divorziare; o, più in generale, la decorazione simboleggia una varietà di condizioni e stati d’animo. A Zanzibar, il kisutu cha harusi è il kanga decorati con i colori rosso e nero che viene indossato dalle spose nel giorno delle nozze. 

Un altro tipico abito tanzaniano è il “madira”, una lunga tunica in cotone o in tessuto sintetico a fantasia floreale, il quale viene solitamente abbinato con un telo portato in testa che richiama gli stessi colori dell’abito. Questo telo prende il nome di “mtadio”. L’abito tipico musulmano di colore nero che si indossa principalmente nei villaggi si chiama “baibui”, al quale viene accostato lo “shungi” un colorato copricapo femminile, che dona un tocco di colore all’abbigliamento.

La Tanzania è caratterizzata da un vasto patrimonio di musica tradizionale, legata principalmente alla danza e alla ritualità. I diversi generi musicali che si sono sviluppati all’interno del Paese sono dovuti alle diverse etnie che vivono in Tanzania. La musica tradizionale è sopravvissuta grazie, non solo alle piccole comunità rurali, ma anche al world music (genere musicale di contaminazione fra elementi di popular music e musica tradizionale, folk e etnica) che ha portato all’attenzione del pubblico internazionale artisti come Hukwe Zawosa

Le popolazioni lungo la costa, di cultura swahili, hanno una tradizione musicale propria che ha subito le influenze araba e indiana, la cui espressione principale è il taarab. Originariamente questa era la musica di corte dei sultanati, mentre oggi è suonata in particolari occasioni sociali (matrimoni). Nonostante le sue origini arabe, il taarab viene cantato soprattutto in swahili, e vede tra i suoi artisti più noti Siti binti Saad e Bi Kidude.

Un altro genere musicale tipico della Tanzania è il muziki wa dansi, una rielaborazione (con testi in swahili) della rumba africana (soukous), genere musicale nato nello Zaire (attuale R.D.Congo) nel XX secolo. 

Infine, correnti musicali più recenti riflettono l’influsso della musica occidentale, in particolare afroamericana. Sono estremamente popolari musicisti hip hop, come Juma Nature e X Plastaz. L’hip hop tanzaniano continentale prende il nome di bongo flava (a Dar Es Salaam); mentre a Zanzibar è chiamato zenji flava.

L’arte tanzaniana è, come da tradizione, legata alla decorazione artistica di oggetti di uso concreto (pratico, come indumenti o utensili; o rituale, come le maschere). Esiste, come per la musica, una netta separazione fra la cultura swahili che attinge alla tradizione araba e mediorientale, e quella dell’entroterra che più si avvicina alle culture bantu del resto dell’africa sudorientale. L’arte swahili, influenzata dall’Islam, predominano temi geometrici astratti e l’uso di iscrizioni (originariamente in arabo; oggi viene utilizzato principalmente lo swahili o l’inglese) come motivi decorativi. Questa tendenza si evince anche nei capi di abbigliamento tradizionale swahili che richiama molto i sarong indiani.

Tipica invece della tradizione bantu è la produzione di oggetti in legno intagliato, come i prodotti dell’etnia makonde, una delle più raffinate del Continente.

Infine, la più nota forma d’arte figurativa della Tanzania è il moderno stile pittorico Tinga-tinga (prende il nome dal suo fondatore Edward Said Tingatinga), uno stile pittorico naïf (ovvero senza alcun legame culturale e accademico della società in cui è nato) sviluppatosi come “arte turistica” e, successivamente, divenuto una vera e propria scuola d’arte che si è differenziato su due livelli: uno relativamente basso, rivolto al mercato turistico; e l’altro più raffinato che trova posto nelle gallerie d’arte di tutto il mondo.

Per gli amanti dello sport

Le uniche medaglie dei giochi olimpici sono di Filbert Bayi e Suleiman Nyambui, conquistate dalla Tanzania a Mosca nel 1980. Il calcio rappresenta lo sport più popolare e giocato nel Paese; mentre la pallacanestro è diffusa nell’esercito e nelle scuole. Il primo tanzaniano a giocare nell’NBA è stato Hasheem Thabeet per i Memphis Grizzlies.  Negli ultimi anni anche il cricket si è diffuso, soprattutto da quando la Tanzania ha ospitato la ICC Cricket League division 4 nel 2008.

UNESCO 

In Tanzania sono presenti ben sette siti divenuti patrimonio dell’Unesco:

  • Area di conservazione di Ngorongoro (1979): si estende su vaste distese di altipiani, savane, boschi e foreste della savana. Fondata nel 1959 come area a uso multiplo, con la fauna selvatica che coesiste con i pastori Maasai seminomadi che praticano il tradizionale pascolo del bestiame, comprende lo spettacolare Cratere di Ngorongoro, la caldera più grande del mondo. La proprietà ha un’importanza globale per la conservazione della biodiversità grazie alla presenza di specie minacciate a livello globale, alla densità della fauna selvatica che abita la zona e alla migrazione annuale di gnu, zebre, gazzelle e altri animali nelle pianure settentrionali. Un’ampia ricerca archeologica ha anche prodotto una lunga sequenza di prove dell’evoluzione umana e delle dinamiche uomo-ambiente, comprese le prime impronte di ominidi risalenti a 3,6 milioni di anni fa.
  • Rovine di Kilwa Kisiwani e rovine di Songo Mnara (1981): si tratta dei  resti di due grandi porti dell’Africa orientale che furono ammirati dai primi esploratori europei. Si trovano su due piccole isole vicino alla costa. Dal XIII al XVI secolo, i mercanti di Kilwa commerciavano in oro, argento, perle, profumi, stoviglie arabe, terracotta persiana e porcellana cinese; gran parte del commercio nell’Oceano Indiano passava così per le loro mani.
  • Parco nazionale del Serengeti (1981): è un insieme di vaste pianure, comprendenti 1,5 milioni di ettari di savana. La migrazione annuale verso le pozze d’acqua permanenti di enormi mandrie di erbivori (gnu, gazzelle e zebre), seguita dai loro predatori, è uno degli eventi naturali più impressionanti del mondo.
  • Riserva faunistica del Selous (1982): quest’area ospita un gran numero di elefanti, rinoceronti neri, ghepardi, giraffe, ippopotami e coccodrilli. Questo santuario si estende per 50.000 km2 ed è relativamente indisturbato dall’impatto umano. Il parco presenta una varietà di habitat senza pari: da fitte boscaglie a praterie boscose aperte.
  • Parco nazionale del Kilimanjaro (1987): con i suoi 5.895 m, il Kilimanjaro è il punto più alto dell’Africa. Questo massiccio vulcanico si erge in uno splendido isolamento sopra le pianure circostanti, con la sua cima innevata che incombe sulla savana. La montagna è circondata da una foresta montana. Nel parco vivono numerosi mammiferi, molti dei quali sono specie in via di estinzione.
  • La città di Stone Town (centro storico) a Zanzibar (2000): è il perfetto esempio di una città commerciale costiera swahili dell’Africa orientale. Conserva praticamente intatti i suoi tessuto e paesaggio urbani; oltre a contenere diversi edifici di pregio che riflettono la sua particolare cultura, che ha riunito e omogeneizzato elementi disparati delle culture dell’Africa, della regione araba, dell’India e dell’Europa per più di un millennio.
  • Siti di arte rupestre a Kondoa (2006): Queste grotte si trovano sulla parete orientale della scarpata Masai che costeggia la Rift Valley, composta da grotte naturali e lastre sporgenti di roccia sedimentaria percorse da fratture, sui cui pannelli verticali si trovano le pitture rupestri (alcune databili ad oltre 1500 anni fa). Le opere mostrano persone allungate, animali e scene di caccia; e sono state realizzate nell’arco di 2 millenni. Sono 150 grotte per un totale di 2336 km2. Da queste pitture è possibile risalire alla storia di chi ha vissuto in questo luogo; inoltre sono una testimonianza del  mutamento della base socio-economica della zona, da cacciatori-raccoglitori ad agro-pastoristi, e le credenze e le idee associate alle diverse società. Alcuni dei rifugi sono ancora oggi considerati in associazione rituale con le persone che vivono nelle vicinanze, rispecchiando le loro credenze, i loro riti e le loro tradizioni cosmologiche.

Altre bellezze da scoprire

Altri luoghi da scoprire che devono essere citati sono numerosi Parchi Nazionali di Arushi, Gombe Stream, Jozani Chwaka Bay, Katavi, Kitulo, Lago Manyara,  Monti Mahale, Mikumi, Mkomazi, Ruaha, Isola di Saanane, Saadani, Tarangire e Monti Udzungwa. Parchi in cui è possibile osservare habitat differenti (savana, foreste montane, prateria, … ) che ospitano numerosi animali (molti in via d’estinzione), tra cui giraffe, ippopotami, bufali, facoceri, antilopi, iene, zebre, leopardi, rettili, scimpanzé, babbuini, colobo rosso di Zanzibar, cercopiteco a gola bianca, coccodrilli, farfalle, lucertole, camaleonti, rane, zebre, gnu, leoni, fenicotteri e svariate altre specie di uccelli, mammiferi, anfibi, rettili e pesci. A questi Parchi poi si aggiungono la via centrale del commercio degli schiavi e dell’avorio; le Foreste delle Montagne dell’Arco Orientale della Tanzania; l’Oldonyo Murwak, luogo d’origine del popolo Masai; Ol Doinyo Lengai (“la montagna di Dio), uno stratovulcano nella Rift Valley; le isole Zanzibar e Pemba (chiamata anche Al Kuh Dra, ovvero “isola verde”); e i laghi Vittoria (conosciuto anche come lago Nyanza, in Kinyarwanda, è il più grande lago del Continente) e Natron.

Introduzione storica a cura di Francesco Scannavini 
Articolo di Caterina D’Onofrio e Marta Previtali

 

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