Un soggiorno, un gruppo di ragazze e ragazzi intorno a un tavolo, l’immancabile “focaccia messinese” e uno statuto da scrivere nel quale provare a racchiudere il senso di strade, incontri, scoperte, valori, luoghi e persone. Ecco le serate di quel fine estate di dieci anni fa. 

Il nome non sarebbe dovuto essere neanche Anymore… ma la storia era cominciata da tempo.

L’incontro con la Bosnia-Erzegoniva li aveva segnati nel profondo.

L’atrocità della guerra a pochi chilometri da casa, la violenza disumana, la conoscenza di chi da una parte o dall’altra aveva vissuto la vicenda tragica dell’assedio di Sarajevo. Erano passati una decina d’anni da quando, in quella che era la capitale dell’integrazione multietnica, il sangue aveva macchiato le strade e le aiuole e i parchi si erano trasformati in cimiteri. Quella città, divisa e sofferente, attraversata in bici da una parte all’altra a servizio di un difficile processo di pacificazione, all’interno del Progetto Sarajevo dell’Agesci, era rimasta nel cuore a ciascuno di loro.

Già perchè Sarajevo è il cuore di tutto. Un conflitto etnico nel cuore dell’Europa, le religioni usate per scopi politico-militari, l’emergere dell’estremismo, la pulizia etnica, le violenze di massa, le deportazioni e i processi migratori. Un concentrato di disumanità senza confini. L’epifania di tante storie di questo avvio di XXI Secolo.

Quelle ragazze e quei ragazzi, dismessi pantoloncini e camicia azzurra, decidettero che bisognava fare qualcosa, esserci. La promozione della pace e dei diritti umani erano un impegno per cui valeva la pena spendersi, metterci testa e cuore. Non era chiaro cosa e come fare ma bisognava non disperdere quel tesoro.

Così in quella data cosi strana 9 Settembre 2009, 09-09-09, si siedono dal notaio e strutturano esperienze che da Sarajevo a quel giorno avevano avuto  carattere episodico e informale. Nasce Anymore Onlus. Dino, Marcella, Claudia, Carmelo, Rosa Alba, Antonio aprono una strada. Fondatori, nel senso etimologico. Gettano le fondamenta sui cui, insieme a loro in tanti altri, abbiamo provato a costruire.

Sempre da Sarajevo, dal disegno di una bimba, arriva il logo che ha contraddistinto questi dieci anni. La sagoma di un bambino che guarda il mondo “al contrario”. Un altro punto di vista, una visione alternativa possibile se si riesce a ribaltare la realtà, affermando come il nome stesso della associazione racconta “mai più” guerre, ingiustizie, xenofobia.

La dimensione internazionale è subito decisiva. Prima l’Eritrea, poi Rwanda, Uganda, Gambia. L’Africa è un pezzo del cuore di Anymore. Il primo progetto strutturato, però, è fortemente  connesso al territorio. Dopo l’alluvione di Giampilieri, gli “anymoriani” – come ama chiamarci Marcella – non potevano stare fermi. Si rivolgono alla Fondazione Prosolidar, con cui ancora oggi continua una proficua collaborazione, e riescono a avviare una serie di interventi, definenendo anche stile e modalità operative. Nessun intervento spot o ricerca di visibilità ad ogni costo, ma lavoro partecipato con i destinatari e costruzione condivisa delle risposte. Il laboratorio di ceramica alla Scuola “Simone Neri” e quello scientifico a quella dell’Altolia, i segni principali di quell’iniziativa.

Dentro questa dimensione fotermente legata al territorio ma allo stesso tempo proiettata verso paesi lontani, si sviluppano questi dieci anni. Tenere insieme locale e globale, una sfida antica ma sempre più attuale di fronte alla crescita di individualismo e disumanità. Per questo dentro questa storia c’è la costante della partecipazione alla Marcia della Pace Perugia-Assisi, in cammino per 25 km con il popolo della pace e dell’impegno civile, a segnare la volontà di non isolarsi ma di aprirsi al confronto con gli altri, persone ed associazioni, con dispobinilità e rigore. Per questo abbiamo attivato i nostri Bazar equosolidali a Messina e Venetico, per fare toccare, mangiare, incontrare il globale e il locale.

Mentre Anymore attivava progetti di solidarietà internazionale in Africa, soprattutto in Rwanda, supportando iniziative di sostegno a minori, scuole, promozione della pratica sportiva, assistenza a disabili, l’Africa è arrivata in mezzo a noi, dal mare. Così, gli ultimi anni sono stati spazio di sperimentazione di percorsi di inclusione interculturale, soprattutto attraverso lo sport e l’aggregazione: scegliendo di lavorare sull’integrazione più che sulla prima accoglienza. Abbiamo sperimentato, su polverosi campi di periferia, la capacità di sentirsi uguali, sebbene diversi, perchè si corre insieme dietro a un pallone, senza che lingua o religione possano dividerci. Abbiamo percepito anche il montare dell’onda di razzismo e xenofobia che si nasconde nelle pieghe profonde della nostra società. Abbiamo sostenuto e supportiamo l’esperienza di Kanö, una sartoria sociale nata dall’incontro di un giovane gambiano con le nostre sarte e ricamatrici del territorio.

L’attivazione del Servizio Civile Universale, uno degli ultimi traguardi raggiunti, dà il senso di un’organizzazione che cresce provando a realizzare percorsi sempre più strutturati, in Italia ma soprattutto all’Estero. Le attività quotidiane di servizio in Rwanda di Valerio, Veronica, Claudio e Francesco hanno determinato un salto di qualità di una presenza, ormai abituale, nel “paese delle mille colline” offrendo continuità, competenza e passione ai partner rwandesi e un’occasione di crescita straordinaria per i ragazzi.

Ecco un’altra delle direttrici dell’azione di Anymore: accompgnare ogni azione solidale ad una decisa prospettiva educativa, nella convinzione che, senza questa dimensione, la solidarietà rischia di ridursi a elemosina o buonismo mentre educare significa stimolare cambiamento profondo, nelle persone e quindi nei contesti sociali. Per questo, oltre al costante lavoro nelle scuole, quando Libera decide di attivare il Progetto Amunì a Messina, Anymore si butta a capofitto. Offrire percosi di cittadinanza consapevole a ragazzi e giovani adulti del circuito penale, figli di questa disgraziata società che hanno commesso reati da minori, è una sfida che non poteva non essere colta.

Qualche riga non può dare il senso complessivo di una storia lunga dieci anni, fatta di volti, incontri, sguardi, pianti e speranze. L’elenco dei progetti e degli interventi realizzati, in Italia e all’estero, è sempre più lungo di quello che pensiamo: un ottimo risultato per chi ha sempre voluto “fare per poi dire e non dire di voler fare”. I compagni e le compagne di strada, persone, associazioni, comunità, sono tante che non ha senso ricordarle qua se non con un grazie, anzi “murakoze”, in kinirwanda, a tutti e a ciascuno.

Ci siamo. Lo pensavamo forte, ieri, di fronte ad una torta con il nostro Gianmarco che alza un bambino rwandese. Ed esserci è la prima cosa.

Dieci anni sono tanti. Forse invece pochi. O forse il tempo non è una variabile decisiva per chi ha deciso di impegnarsi in un cammino verso un cambiamento profondo. Un’orizzonte forse inarrivabile. 

Tra le tante convinzioni e le poche certezze, una la prendiamo da una canzone di Ligabue, perchè chi ci conosce lo sa, noi le canzoni ce le mettiamo sempre: «Siamo rimasti ancora noi, Siamo ancora noi. È stato tutto vero. Sarà comunque vero, e fino all’ultimo respiro…»

Domenico Siracusano